Erranze teoriche, scoperte e scambi tra metodi e voci dal terreno

Autori

  • Flavia G. Cuturi

DOI:

https://doi.org/10.14672/ada20191534253-276

Parole chiave:

Antropologia della parentela, Antropologia del linguaggio, Ikoots/huave, Fare vs essere, Storie di vita

Abstract

Le “scoperte” risultanti da ogni ricerca sul terreno, spesso, come suggerisce Fabietti (2012), possono rivelarsi decentrate rispetto alle domande che avevano motivato quella ricerca. Decentrate sia in termini referenziali: ciò di cui alla fine si parla o si scrive; sia in termini riflessivi, metodologico – procedurali: comportano in sé modi alternativi e talvolta assai divergenti di procedere verso le “scoperte” stesse. In questo lavoro ripercorro i primi anni delle mie ricerche fra gli ikoots / huave di San Mateo del Mar (Oaxaca, Messico), a partire dal 1979; anni di intense frequentazioni di nuclei domestici che plasmarono il mio ascolto e le mie prospettive, portandomi a cercare strumentazioni alternative rispetto al bagaglio teorico sulla parentela con il quale ero partita e ad aprirmi all’antropologia semantica prima e all’antropologia linguistica poi. Seguendo il flusso del vissuto andavo scoprendo che stavo misurandomi con una società centrata sul “fare” e non sull’“essere” e non solo perché il verbo “essere” non esiste. Le rappresentazioni dei ruoli di donne e uomini si articolavano non in termini ontologici, ma piuttosto nel senso della “prassi”, un “fare” (-rang) secondo genere, ruoli e posizioni. In questo contesto la dimensione della “volontà” emergeva frequentemente nei loro discorsi quotidiani, a totale discapito di altri concetti (espressi per noi dai nostri verbi modali: ‘potere’ e ‘dovere’), quasi inesistenti. Il carico di agentività di ciascuna persona appariva inaspettatamente radicale nei confronti del ruolo parentale, consentendo loro ad esempio, l’“interruzione” volontaria di un legame consanguineo. Le rappresentazioni discorsive dell’agire sociale ponevano al centro soggetti, come donne, anziani/e e bambini/e, non sempre contemplati dalle ricerche dell’epoca, dando dimensioni del “fare” parentale del tutto inaspettate. Ciò si inquadrava pienamente in una rappresentazione anti-ontologica delle relazioni sociali, fondata piuttosto sulla centralità della “prassi” e della “volontà” assente dalla ricerca antropologica mesoamericanista (e non solo) di quegli anni.

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Pubblicato

2019-04-18